Interessanti e utili gli spunti emersi dalla Tavola rotonda Lavoro migrante. Percorsi, criticità, sinergie organizzata da Rete Migrazioni e Lavoro e Cuccagna Solidale lo scorso 21 febbraio 2019 a Milano presso Cascina Cuccagna. La tavola rotonda ha visto la presenza di più di 80 partecipanti. Qui di seguito ne riportiamo una sintesi con la possibilità di scaricare le presentazioni
La tavola rotonda si è aperta con un video estratto dal tg3 RAI di qualche giorno prima (VEDI IL VIDEO). Il video evidenziava come a Modica un ragazzo senegalese di nome Abdul, richiedente asilo che lavora presso una fabbrica di cioccolato ed è perfettamente integrato nel tessuto sociale, a seguito del diniego ricevuto dalla commissione territoriale alla sua domanda di asilo debba lasciare tutto ciò che ha costruito e rientrare nel suo paese d’origine. I cittadini di Modica si sono mobilitati chiedendo che possa rimanere a lavorare e vivere in Italia. Il datore di lavoro intervistato ha dichiarato: “Il percorso fatto da Abdul rappresenta il disegno esatto di quello che si intende per integrazione e sarebbe un peccato distruggere tutto”.
Con questo scenario di riferimento Rossana Andreini, volontaria della Rete Migrazione e Lavoro ha spiegato le finalità della Rete Migrazioni e Lavoro e il significato della tavola rotonda: mettere a fattore comune le differenti prospettive dei soggetti (centri di accoglienza, enti di formazione, agenzie del lavoro, aziende) impegnati nell’inserimento lavorativo di persone migranti per individuare punti comuni di azione e practices condivise. Fare rete sul tema del lavoro, è stato sottolineato, risulta oggi fondamentale per poter riconoscere il diritto al lavoro alle persone migranti, poterne valorizzare le caratteristiche e le potenzialità e individuare le strade più efficaci per arrivare ad un lavoro regolare. Tutto questo è possibile solo attraverso la conoscenza e il dialogo tra i diversi soggetti coinvolti che possono così capire le reciproche esigenze e le difficoltà oggettive che ognuno incontra.
Carlo Antonio Barberini, storico del lavoro del Centro Filippo Buonarroti ha poi introdotto la tavola rotonda parlando del rapporto tra demografia e migrazioni (SCARICA LE SLIDE DI ANTONIO BARBERINI). E’ un rapporto che viene molto spesso dimenticato ma che è di fondamentale importanza: in esso appare evidente come il lavoro migrante sia il nodo fondamentale in Italia e nel mondo. Barberini ha sottolineato come in Italia si sia in presenza del cosiddetto inverno demografico: Antonio Golini nel libro “Italiani poca gente” afferma che un paese nel quale la popolazione oltre i 60 anni supera il 30% è destinato ad estinguersi. L’Italia è vicino al 23%. Anche Massimo Livi Bacci, nel libro “Il pianeta stretto”, confrontando la popolazione attiva tra il 2015 e il 2050 evidenzia che in Italia si passerà da 35 a 24 milioni (meno 11 milioni: 30%) e in Germania da 49 a 37 milioni (meno 12 milioni: 25%) con pesanti ripercussioni su pensioni e PIL. Infine Barberini cita il sociologo Stefano Allievi il quale ha scritto che nei prossimi vent’anni, per mantenere costante la popolazione in età lavorativa (20-64 anni), ogni anno dovrebbero entrare in Italia 325 mila potenziali lavoratori. Con questa realtà di riferimento stridono le politiche di respingimento e la scarsa attenzione al problema del lavoro: l’auspicio di Barberini è che quanto sta impostando la Rete Migrazioni e Lavoro non si fermi con l’incontro, ma continui a cercare soluzioni per limitare le politiche xenofobe sempre più evidenti, partendo dal decreto “sicurezza”.
Si è poi proceduto con i diversi interventi seguendo lo stesso ipotetico percorso che farebbe un richiedente asilo arrivando in Italia
I centri di accoglienza
La prima a parlare è stata Silvia Coccioli, coordinatrice del CAS (Milano) della Cooperativa sociale Liberitutti e volontaria di Cuccagna Solidale, che ha sottolineato le azioni che sono state messe in campo per supplire alle mancanze da parte delle istituzioni: Cuccagna solidale (che fa parte della Rete Migrazioni e Lavoro) nel 2016 si è ritrovata a occuparsi di integrazione pur non essendo un ente preposto a tale scopo, ospitando donne in situazione di fragilità. Dopo l’emergenza, Cuccagna solidale ha pensato di rendere Cascina Cuccagna un luogo di incontro e scambio dove ampliare il dialogo con gli altri soggetti operanti sul territorio oltre agli operatori. Coccioli ha sottolineato come nella sua esperienza di 8 anni nell’accoglienza abbia avuto la possibilità di vedere quanto sia variegato il mondo dei migranti (MSNA, famiglie, giovani, uomini singoli): quello che li accomuna è il gap tra politiche sociali, del lavoro, della casa e quello che realmente avviene. Sono anni che si cerca di attuare politiche del lavoro attraverso la creazione di categorie (donne, disabili, precari, disoccupati, ecc..): l’invito di Coccioli è quello di parlare di lavoratori e non di continuare a creare categorie, che nascono per individuare soggetti fragili e trovare risposte coerenti, ma che poi vengono strumentalizzate e diventano loro stesse discriminatorie.
E’ stata quindi la volta di William Soavi, in rappresentanza del servizio formazione lavoro di cui si è dotato da quattro anni il Consorzio Comunità Brianza per poter avviare dei percorsi di inserimento lavorativo delle persone ospiti in CAS e SPRAR gestiti dal Consorzio. Nel monzese il Consorzio Comunità Brianza federa una trentina di partner tra associazioni e cooperative del privato sociale e nel Vimercatese insieme a CS&L Consorzio Sociale ha creato nel 2014 il raggruppamento temporaneo d’impresa RTI Bonvena, per dare poi vita ad un fondo di sostegno per l’inserimento lavorativo, il Fondo Hope. Obiettivo di questa iniziativa è quella di integrare i bandi prefettizi per realizzare corsi di lingua, corsi professionalizzanti, borse lavoro e finanziare tirocini. Nel 2018 sono state attivate circa 80 collaborazioni stabili con aziende e cooperative sul territorio e circa 100 tirocini in azienda, multinazionali e piccole imprese artigianali (70% attivati nella ristorazione). Il Fondo Hope è esistito grazie allo sforzo da parte di tutti i partner che hanno accantonato 1 euro al giorno per ogni ospite dal contributo ministeriale, dando la possibilità di costituire un fondo di 1 milione di euro. Tale fondo è stato utilizzato dando 250 euro per persona in uscita, un aiuto per l’abitazione e percorsi formativi concordati con enti di formazione sul territorio (Scuola Arte muraria, Scuola Paolo Borsa, Boston Group). Adesso con il decreto sicurezza e i nuovi bandi, si pone una questione di sopravvivenza del Fondo Hope: probabilmente il 50% delle persone ospitate rischia di essere in situazione di irregolarità e questo comprometterà i percorsi di inserimento e l’esperienza fatta. RTI Bonvena ritiene che sia necessario promuovere gli sforzi che sono stati realizzati e, attraverso reti sul territorio, creare consenso nell’opinione pubblica: a tale scopo è stato avviato un progetto di comunicazione #brianzacheaccoglie (SCARICA APPELLO) che ha avuto più di 150 adesioni ad oggi, per lanciare il dibattito sul territorio e fare fronte comune.
A chiudere i relatori dei Centri di accoglienza, Marta Battioni del dipartimento welfare di LegaCoop Lombardia, che ha riportato di un incontro appena concluso tra le due centrali cooperative che raggruppano la cooperazione sociale (Confcooperative e LegaCoop) nel quale si sono confrontate sul futuro dell’accoglienza e dell’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati. I bandi per l’affidamento dei servizi di gestione dei centri di accoglienza che stanno uscendo hanno infatti requisiti totalmente diversi da prima e risorse molto basse, costringendo il mondo dell’impresa sociale a interrogarsi se continuare alla stesso modo o rinunciare a tutta quella parte di accompagnamento al lavoro, dalla formazione all’inserimento lavorativo (tirocini, borse lavoro) rivolta ai migranti. LegaCoop e Confcooperative hanno firmato nel 2016 la Carta della buona accoglienza delle persone migranti sottoscritta dal Ministero dell’Interno che parlava di una serie di azioni e di collaborazioni con imprese cooperative ma non solo. Purtroppo non c’è stata una regia effettiva tra le imprese cooperative che definisse degli interventi congiunti e coordinati di inserimento lavorativo, ma ci sono state comunque tante azioni e posti di lavoro attivati soprattutto nelle imprese della logistica e in quelle dei servizi. Quindi nel mondo della cooperazione sociale l’aspetto del lavoro non è stato tralasciato ma sicuramente ci si è concentrati soprattutto sull’accoglienza, andando a intercettare le necessità del territorio e delle aziende di quel territorio come ad esempio quello che è stato fatto da RTI Bonvena. Il rischio è che con queste scelte politiche si torni indietro, il compito delle cooperative sociali è pensare a tutti i cittadini stranieri che hanno bisogno di un supporto per l’inserimento sociale e lavorativo quindi attraverso il terzo settore, le cooperative, l’associazionismo.
Gli Enti di formazione
Apre la parte degli enti di formazione Elena Briatore, consulente di diversi centri di formazione e in particolare di quello di Unione artigiani, che si è sempre occupata di ricerca del lavoro e di formazione. Da un paio di anni segue in particolare due programmi europei: garanzia giovani, dedicato alle persone con meno di 30 anni, e dote lavoro, per chi supera i 30 anni, che prevedono l’accoglienza, il bilancio di competenze, la redazione di cv, percorsi di formazione e tirocini (scarica il manuale Needs vs Neets realizzato dalla Fondazione L’Albero della Vita con tutte le indicazioni). In questi anni i centri o enti accreditati con cui Briatore ha collaborato hanno lavorato con i richiedenti asilo, creando percorsi formativi nella ristorazione e nella meccanica, soprattutto con il Centro di Formazione Professionale Unione artigiani che ha una storia molto lunga in questo settore. A gennaio di quest’anno è sorto però un problema con i nuovi bandi di garanzia giovani e dote lavoro perché sono previste solo 32 ore di formazione, decisamente insufficienti per qualsiasi tipo di formazione. Si è rivolta quindi alle agenzie del lavoro che hanno fondi Formatemp per definire corsi congiunti. Sempre per coadiuvare i nuovi bandi, alcuni ristoratori hanno deciso di dare la possibilità di far svolgere la parte pratica presso di loro. Altra possibilità individuata da Briatore è di utilizzare volontari che insegnino l’italiano specifico per i corsi professionali. I problemi che Briatore evidenzia nell’inserimento lavorativo di richiedenti asilo sono la scarsa conoscenza linguistica per poter lavorare in azienda; la difficoltà di comunicazione formale; il trasferimento verso il posto di lavoro dove non ci sono mezzi pubblici; i permessi di soggiorno a scadenza. Infine ritiene fondamentale che i corsi di formazione rispondano alle reali esigenze del mercato del lavoro, mentre purtroppo vengono erogati molti corsi senza reali sbocchi lavorativi.
Ha poi preso la parola Daniele Montrone coordinatore e progettista corsi di Boston Group Srl, un ente accreditato per la formazione e l’inserimento al lavoro in Regione Lombardia. L’azienda si occupa di formazione professionalizzante finanziata attraverso i dispositivi regionali per disoccupati, di formazione continua attraverso i fondi interprofessionali e di traduzioni commerciali e giurate. Montrone ha spiegato che il mutare dello scenario sociale italiano li ha spinti ad allargare le loro competenze verso un’utenza multietnica e multirazziale con programmi di formazione adeguati. Ai filoni più classici della formazione professionale (dal cameriere di sala all’addetto sicurezza e controllo, dall’aiuto di cucina al pellettiere) hanno scelto, nel 2016, di affiancare corsi di formazione rivolti a persone straniere in possesso di competenze più elevate e che consentissero loro di recuperare, almeno in parte, le esperienze lavorative e i percorsi scolastici avuti nei paesi di origine. I corsi di formazione per mediatori linguistico culturali e operatori dei centri accoglienza hanno rilevato una forte presenza in aula di richiedenti o beneficiari di protezione internazionale e successivi inserimenti lavorativi (questa attività ha visto l’ente premiato con il logo “Welcome – Working for refugee integration” nel 2017) e hanno avuto un riscontro molto importante per i corsisti nel mondo del lavoro. Considerando il totale dei beneficiari dei due percorsi (300 persone circa in 3 anni) circa il 35% di loro lavora stabilmente nel terzo settore con una delle due mansioni sopra descritte, come dipendente o come libero professionista. Da quest’anno l’offerta formativa si è ampliata tramite l’apertura dell’Alta Scuola di Counseling ed Educazione Interculturale per Adulti (A.S.C.E.I.P.A.), in continuum e come sviluppo anche professionale dei corsi di formazione per mediatori linguistico culturali e operatori dei centri accoglienza. La scuola è rivolta a tutti coloro che intendono acquisire competenze comunicative e relazionali attraverso gli strumenti dell’analisi transazionale e metodologie integrate, scelte tra le più produttive in ambito relazionale e comunicativo. All’interno dei criteri di ammissione è prevista l’eleggibilità di candidati richiedenti o beneficiari di protezione internazionale in possesso di laurea conseguita nel paese di origine, anche senza titolo di valore.
Le Agenzie per il lavoro
Per le agenzie per il lavoro ha parlato Adelina Genovese, career advisor youth@work di Randstad HR Solutions srl, che ha evidenziato come la sua azienda si occupi di migranti prima di tutto perché sono persone: “noi lavoriamo con le persone e cerchiamo di immaginare gli scenari futuri per preparare persone per il futuro” (SCARICA LE SLIDE DI ADELINA GENOVESE). Si parla di calo di popolazione, ma anche di popolazioni che raddoppieranno, come quelle dell’Africa, le migrazioni sono una realtà. Come ricordato nell’introduzione, dovrebbero entrare 325 mila potenziali lavoratori ogni anno in Italia per mantenere costante la popolazione in età lavorativa: questi sono per Randstad i candidati da formare per poter avere persone qualificate da inserire nel mondo del lavoro. A questo si aggiunge il valore della diversità che sempre di più diventerà un punto di forza per le aziende. Il progetto Randstad Without borders, partito nel 2017, vuole portare all’autonomia le persone straniere, richiedenti asilo ma non solo. Autonomia che oltre al lavoro vuol dire anche fornire strumenti per la gestione del bilancio familiare, per la comunicazione, per la relazione, per imparare le regole del mondo del lavoro. Per poter realizzare questo progetto è necessario fare rete e collaborare con tutte le componenti interessate: i percorsi formativi iniziano solo se esiste un partenariato forte con le aziende, con le associazioni, con il sistema di accoglienza. A seconda che si parli di richiedenti asilo o di lungo soggiornanti i tempi e le esigenze di formazione sono diverse: per i primi c’è una completa assenza di competenze, per gli altri bisogna riportarle alla superficie. Con quest’ultimi si effettuerà una formazione linguistica per arrivare a livello B1, corsi per la ricerca attiva del lavoro e, per alcuni di loro, corsi professionali. Inoltre, spiega Genovese, bisogna agire sulla coscienza delle aziende perché si impegnino in un accompagnamento tutelato perché queste persone anche dopo un tirocinio hanno bisogno di tempo per inserirsi realmente e diventare produttive. Quindi le borse lavoro, la dote lavoro aiutano le aziende a testare le opportunità di inserire persone straniere. Un problema di difficile soluzione è il permesso di soggiorno che, se non consente di avere una certezza che la persona rimarrà in Italia, impedisce alle aziende di inserirla in azienda. Altro punto è il decreto stabilità: le agenzie del lavoro sono state penalizzate perché i contratti a tempo determinato possono essere stipulati senza causale solo per 12 mesi. In conclusione Genovese spiega che dopo aver superato il corso professionalizzante le persone straniere entrano nel processo di placement come gli autoctoni anche se tutelato perché devono essere supportati per l’apertura del conto corrente, per l’affitto e per il bilancio familiare: è necessario che i centri di accoglienza li guidino in questo cammino.
Come consulente di società di formazione e agenzie per il lavoro ha poi parlato Nicola Montanaro che, dopo aver lavorato per tantissimi anni nelle direzione del personale di grandi aziende, nel 2013 ha iniziato a collaborare con il Centro Nazionale Opere Salesiane – Formazione e Aggiornamento Professionale per ridisegnare i loro corsi e migliorare la capacità di collocare i ragazzi. Nel 2015 e 2016 ha realizzato un progetto con una società di somministrazione nel torinese per rispondere a una richiesta di ricerca di saldatori e mettere a punto la formazione coinvolgendo 150 ragazzi. Il saldatore è un mestiere ben pagato, ma necessita di mobilità ed è inoltre un mestiere molto duro che richiede una certa fisicità; caratteristiche che molto spesso non si trovano in persone italiane. Montanaro conclude evidenziando come la formazione sia il punto cruciale per trovare il lavoro e come manchi formazione qualificata in alcuni ambiti, come ad esempio quello di saldatore, e che bisogna rispondere sempre di più con una formazione tarata sulle richieste delle aziende.
Le aziende
Ha infine aperto la parte delle aziende Dimitri Cerioli, consulente del lavoro dello Studio Associato Cerioli Ercoli, che ha analizzato i percorsi per trovare lavoro in Italia e che cosa la normativa dice rispetto all’assunzione di persone straniere e in particolare richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale (SCARICA LE SLIDE DI DIMITRI CERIOLI). Cerioli ha evidenziato come in Italia sia il passa parola il metodo più diffuso per cercare lavoro e come i centri per l’impiego siano scarsamente utilizzati, mentre sembra che le società di somministrazione portino a maggiori risultati anche perché hanno cambiato negli anni i servizi offerti. Risulta quindi molto difficile governare i processi di incontro tra domanda e offerta e garantire ai lavoratori dipendenti un salario adeguato al costo della vita. Apparentemente lo spazio per la manodopera meno qualificata sembra ridursi sempre più, impattando anche sul tema dell’occupazione dei migranti, in quanto statisticamente le prime occupazioni reperite dai soggetti ascrivibili a questa categoria sono costituite da mansioni di responsabilità medio-bassa e fortemente improntate sulla manualità. Ciò non esclude l’occupabilità della manodopera migrante (specialmente di origine est-europea) dotata di qualifiche più elevate e di titoli di studio riconosciuti dallo stato italiano. Cerioli sottolinea che purtroppo per gli imprenditori non è un’opportunità l’inserimento di manodopera a basso prezzo, come molto spesso si definisce l’utilizzo di persone migranti, perché l’imprenditore corretto vuole collaboratori efficienti e produttivi, non mera manodopera incapace a basso costo. E’ disposto a spendere in formazione ma cerca certezze e stabilità, per cui quasi necessariamente l’ingresso del lavoro di migranti passa da tirocini o stage che seguono regole precise come riportato nelle slide. Rispetto alle persone migranti quello che richiede un’azienda è sicurezza di permanenza, altrimenti non è conveniente investire su quel lavoratore. Cerioli ha poi spiegato le modalità di assunzione di una persona straniera, quali tipologie di permesso di soggiorno consentono oggi di svolgere attività lavorativa e quali sono le norme per l’accesso ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro da parte dei cittadini stranieri richiedenti e titolari di protezione internazionale (vedi slide). Secondo Cerioli è molto difficile in questo momento consigliare un datore di lavoro che debba assumere una persona richiedente asilo, soprattutto perché è cambiata la normativa con il decreto sicurezza: forse, conclude, sarebbe stato opportuno considerare una sanatoria per far fronte a questo periodo transitorio.
E’ stata quindi la volta di Elisabetta Rivolta, Recruiting and Employer Branding Global Sr. Manager di Intercos SpA, azienda cosmetica internazionale tra i maggiori produttori del mondo di make up e skin care. Intercos non ha un proprio brand ma produce per le maggiori case cosmetiche: sono proprio i clienti ad aver chiesto a Intercos di adeguarsi ai temi della Corporate Social Responsability per essere fornitori certificati (SCARICA LE SLIDE DI ELISABETTA RIVOLTA). Sono stati sviluppati quindi diversi progetti nell’ambito della sostenibilità, della CSR e accountability. In USA sono stati realizzati percorsi di inserimento lavorativo per veterani dell’esercito americano e in Brasile sono stati inseriti 40 operatori di produzione provenienti dalla comunità in difficoltà di Atibaia. In Italia, partendo dallo scenario di bassa natalità che potrebbe portare a una diminuzione di forza lavoro, hanno iniziato a investire su persone straniere per formarle come operatori di produzione cosmetico. Da qui è nato il progetto “Intercos Without Borders” con Randstad, in cui sono stati formati un gruppo di 18 richiedenti asilo con l’obiettivo di assumere i migliori. Come è andato il progetto? Rivolta lo giudica in modo molto positivo, evidenziando la necessità di contatto con le associazioni, di effettuare una selezione sul territorio vicino al luogo di lavoro non essendo le persone automunite, di realizzare una formazione ad hoc sia linguistica sia culturale. Il livello di italiano richiesto all’ingresso è B1 perché devono essere in grado di leggere una scheda tecnica con ingredienti e altre indicazioni. Su 18 partecipanti al corso, 9 ragazzi sono stati selezionati per il tirocinio (5 sul Plant di Agrate Brianza e 4 su quello di Dovera). Purtroppo le donne, che sono molto ricercate per il tipo di produzione, sono molto difficili da trovare. Dopo tre mesi di tirocinio i ragazzi sono stati inseriti in azienda con una prima somministrazione di lavoro, modalità questa che viene utilizzata per tutti i lavoratori avendo Intercos una produzione molto flessibile. Intercos rilancerà anche quest’anno lo stesso progetto con l’obiettivo di inserire a luglio 2020 nuovi lavoratori migranti nella parte produttiva dell’azienda.
A chiudere la tavola rotonda è stata l’avvocato Silvia Balestro dello Studio Avvocati PortaRomana6 che si occupa di diritto del lavoro e immigrazione. Balestro ha sottolineato che la situazione dei lavoratori migranti è andata peggiorando da quando è iniziata la precarizzazione del lavoro: in particolare, togliendo l’obbligo della causale su tutti i contratti a termine, si è consentito la liberalizzazione dei contratti che sono poi quelli che vengono maggiormente utilizzati in somministrazione. Il decreto dignità ha specificato che si può non apporre la causale solo per i primi 12 mesi di contratto e questo è sicuramente un vantaggio per il lavoratore. Parlando del decreto sicurezza Balestro ha evidenziato come sia peggiorata la situazione dei richiedenti asilo che scappano da paesi in cui non sono consentite le libertà democratiche che sono avere un lavoro, una casa, cure mediche, ecc. Per questo si era ritenuto, con il permesso per motivi umanitari, importante considerare per il suo ottenimento l’inserimento lavorativo del richiedente, adesso con il decreto sicurezza non servirà più a niente che il richiedente abbia iniziato un percorso di inserimento lavorativo e abbia già un contratto. Quello a cui ci si sta indirizzando come legali per l’ottenimento del permesso di soggiorno, in mancanza di quello per motivi umanitari, è quindi la richiesta di asilo costituzionale in base all’art 10 comma 3 della Costituzione. Importante sottolineare che invece il permesso per studio (che consente di lavorare per 20 ore settimanali) può essere convertito in permesso di lavoro. Un altro punto su cui si è soffermata Balestro è l’iscrizione anagrafica in quanto il decreto sicurezza prevede che “il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”: secondo Asgi nella norma non si vieta espressamente l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe, ma si sostiene che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisca un titolo valido per l’iscrizione all’anagrafe. Il titolare di permesso di soggiorno per richiesta asilo potrà ottenere l’iscrizione anagrafica esibendo all’Ufficio anagrafe altro documento valido a dimostrare la regolarità del soggiorno in Italia (ad. es., il Modello C3 di identificazione del richiedente stesso da parte dell’autorità di pubblica sicurezza). Inoltre la mancata iscrizione anagrafica non comporta che il richiedente asilo non possa accedere ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione, ad esempio il Centro per l’impiego, perché la legge ne garantisce espressamente l’accesso sulla base del domicilio dichiarato al momento della formalizzazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Il problema che si sta evidenziando è che enti pubblici e soggetti privati (come le banche per l’apertura di un conto corrente) rifiutano di erogare servizi a fronte della mancata iscrizione anagrafica. E su questo è necessaria una chiara comunicazione da parte delle amministrazioni locali.
La tavola rotonda è proseguita con un interessante dibattito e si è chiusa con una richiesta da parte del pubblico di realizzare altri momenti di confronto per capire come affrontare il tema dell’inserimento lavorativo delle persone migranti.