Uno studio 2022 a cura di IOM – International Organization for Migration analizza, da numerose prospettive, l’impatto, ma anche gli ostacoli, del fenomeno migratorio rispetto a uno sviluppo sostenibile, così come definito nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Tra i numerosi aspetti da affrontare, la necessità di disporre di dati omogenei e provenienti da sempre più paesi, per realizzare politiche di integrazione davvero efficaci. I dati certificano penalizzazioni su lavoro, istruzione e sanità per chi cerca un’integrazione in paesi diversi dal proprio. Ma si disegna anche un quadro variegato in cui si intravvedono sviluppi positivi
Ricchissimo di dati e approfondimenti, il recente studio 2022 “Migration and the SDG: Measuring Progress – An Edited Volume” a cura di IOM – International Organization for Migration, Geneva, offre uno spaccato analitico del fenomeno migratorio in rapporto, come dice il titolo, ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDG) e ai loro 169 target definiti nell’Agenda 2030 dagli Stati membri delle Nazioni Unite nel 2015.
Interessante la prospettiva di analisi, cioè la concreta contribuzione del fenomeno migratorio allo sviluppo globale, non scordando come questo esponga tuttavia i migranti a nuovi rischi. Indicazioni pratiche vengono proposte, come, ad esempio, la necessità di ridurre i costi di transazione delle rimesse nonché di rafforzare le misure, viste nel dettaglio, atte a contrastare la tratta di esseri umani.
La IOM è una organizzazione intergovernativa che, insieme a vari partner della comunità internazionale, affronta le sfide operative della migrazione e, oltre a un impegno nella difesa della dignità umana e del benessere dei migranti, incoraggia uno sviluppo sociale ed economico attraverso la migrazione.
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Dati e parametri di valutazione del fenomeno
Diverse le parti interessanti dello studio; di seguito alcuni punti tra i più significativi.
E’ l’obiettivo 10.7 (sottopunto del 10, finalizzato alla “Riduzione delle disuguaglianze” – vedi grafico sotto) quello che sollecita i paesi a una gestione più efficace, ordinata, sicura e responsabile del fenomeno migratorio come leva imprescindibile per realizzare migliori risultati in una direttrice di nuovo sviluppo economico e sociale.
Il report offre parametri di valutazione su quattro sottopunti, 10.7.1-2-3-4, nell’ordine: il Costo di Recruitment generato per addetto, in rapporto al fatturato mensile realizzato nel paese di destinazione; fotografia dei paesi con politiche di migrazione che facilitano in modo corretto, sicuro e responsabile la mobilità migratoria delle persone; statistiche con numeri relativi a persone morte o scomparse nei flussi migratori verso destinazioni internazionali; proporzioni e percentuali di persone rifugiate, per paese di origine.
Dai dati le azioni conseguenti
Una parte importante è dedicata nello studio alla criticità relativa ai dati, in termini di modalità di raccolta (resa ancora più difficile dalla recente pandemia) e di capacità di analisi in termini omogenei, da cui ricavare conseguenti politiche e investimenti. Proprio negli ultimi anni è aumentato l’interesse e il coordinamento tra nazioni allo scopo di raccogliere, analizzare, proporre all’uso i dati sui flussi migratori. Ma resta, questo, un problema molto complesso, che deve passare anche da un maggior coordinamento tra i vari istituti di statistica nazionali. Si sta finalmente diffondendo l’uso di nuove tecnologie digitali per analizzare i dati relativi al tracking dei flussi migratori ma resta un punto molto critico per quelle fasce di persone migranti più deboli, come, ad esempio, i minori non accompagnati sui quali le politiche basate sui dati non possono essere troppo procrastinate o per quei 55 milioni di sfollati con carenze di supporto medico, scolastico ed economico (vedi grafici qui sotto con dati condivisi a livello globale)
Lo studio si inoltra anche nell’analisi di dati disaggregati, fondamentali per articolare iniziative su un fenomeno così complesso. Anche qui i dati a livello internazionale sono scarsi e di bassa qualità. Se fossero disponibili dati più disaggregati, si potrebbe rispondere con politiche adeguate a domande che sembrano di dettaglio, ma che spesso determinano la vita di milioni di persone; domande tipo: qual è la situazione abitativa dei lavoratori domestici migranti in Qatar? I bambini migranti che vivono a Rio de Janeiro vanno a scuola? Molti imprenditori nella Silicon Valley sono migranti: hanno maggiori probabilità di avviare un’impresa in tempi rapidi o hanno più difficoltà e devono aspettare qualche anno? I migranti di ritorno in Senegal riescono a realizzare un reddito vivibile? Quali tipi di agricoltura nel Regno Unito (o in altro paese europeo) fa più affidamento sul lavoro migrante? Quali sono le tendenze occupazionali per i coniugi migranti riuniti che vivono in Germania? E così via.
Ecco pochi esempi di tendenze da dati disaggregati su cui ha senso ragionare nel momento in cui si vogliono definire politiche di supporto.
Povertà – I dati provenienti da 36 paesi nel mondo evidenziano che il 35% dei migranti sono in situazione di povertà o rischiano di esserlo (dato 2015), in confronto a una percentuale del 23% dei non-migranti. L’esposizione alla povertà è maggiore in specifici sottogruppi di migranti, ad esempio quelli provenienti da nazioni al di fuori del paese in cui vivono: in media il 43% di cittadini non europei in Europa erano, nel 2015, a rischio povertà rispetto al 37% di altre persone europee.
(Vedi nella figura sotto il fenomeno del traffico minorile e di genere)
Luogo di nascita – Il paese di nascita delle madri di bambini pesa parecchio: il 21% dei bambini nati in America da madri straniere che sono negli Stati Uniti da almeno 5 anni sono in un livello alimentare di insicurezza rispetto al 10% dei bambini nati in America da madri americane (Children’s HealthWatch, 2018).
Scolarizzazione – I bambini e i giovani adulti sfollati tendono ad avere livelli di scolarizzazione inferiori rispetto ai nativi. Ciò si riflette nel basso numero di tassi di iscrizione, da parte di rifugiati, a tutti i livelli di istruzione rispetto ai bambini non migranti. Ad esempio, il 61%, il 23% e l’1% dei rifugiati in tutto il mondo sono iscritti alle scuole primarie, secondarie e universitarie o college, rispettivamente, in confronto alle cifre globali di iscrizione che sono 91%, 84% e 36% (UNHCR, 2017).
Il contributo dei migranti allo sviluppo
Interessante infine il capitolo, ricco di dati, relativo all’impatto del lavoro dei migranti nei paesi di destinazione così come il peso delle loro rimesse nei paesi di origine.
I contributo dei migranti nei paesi di destinazione è ovviamente commisurato al livello di integrazione raggiunta, dove la persona può meglio esprimere il proprio potenziale di lavoro e di capacità imprenditoriale. In America, paese di immigrazione per eccellenza, i migranti contribuiscono allo sviluppo economico in modo determinante, stimolando la domanda di merci e servizi, pagando tasse per il miglioramento continuo di servizi di base quali sanità e scuola. Molti studi concordano su un alto tasso di imprenditorialità, iniziativa e innovazione tra le popolazioni migranti. Ed è un impatto visibile non soltanto in una dimensione piccola o locale di micro-commercio: ad esempio, il 44% delle più grandi e importanti società di Fortune 500 (la rivista-Bibbia dell’imprenditoria americana) nel 2021 era stato fondato da migranti o dai loro figli, dando lavoro a circa 14 milioni di persone.
Relativamente alle rimesse dei migranti dall’estero nei paesi di origine, certamente queste contribuiscono ad alleviare livelli di povertà di persone costrette a vivere con circa 1,25 dollari al giorno. Tuttavia, gli impatti delle rimesse sullo sviluppo possono in alcuni contesti essere limitati o addirittura controproducenti. Ad esempio, a volte possono distorcere i modelli di consumo nelle comunità di origine e creare dipendenza. In pratica, quando l’importo rimesso supera il salario più basso che un lavoratore sarebbe disposto ad accettare nel proprio paese di origine, le famiglie beneficiarie possono essere disincentivate dal cercare lavoro, mentre inducono una domanda spesso disallineata con la realtà economica del paese, con il rischio di provocare squilibri commerciali come un aumento dell’inflazione. Insomma, dati, analisi e scenari molto interessanti per un report tutto da studiare per chi si occupa di questi fenomeni.